martedì 14 luglio 2009

Il teorema della perfetta imperfezione


Si parlava, sull’altro blog, del romanticismo latente delle donne. Della loro eterna ricerca del principe azzurro, e quindi di quanto le favole abbiano rovinato la loro vita. E si diceva che, sempre a causa del “e vissero tutti felici e contenti..” con cui le stesse finivano, intere generazioni di sesso femminile si sono ritrovate a ricercare l’uomo “maledetto” per rifuggire dalla noia che quel finale scontato prometteva loro. Qualcuno argomentava che in realtà questa (il puntare ai maledetti) sia soltanto una scelta necessaria, in quanto non esistono i principi azzurri. E una voce maschile, fuori dal coro, ha invece sostenuto la tesi che sia solo una questione di tempistiche. Che sia necessario essere “pirati” per rubare il cuore alle donne e poi “principi” per tenerle strette una volta che le si “possiedono”, termine inteso qui nell’accezione più romantica che le si può dare. Dice che “Il maledetto ha un fascino tutto suo, dovuto all'irrequietezza, alla libertà, alla malinconia, alla strafottenza di uomo vissuto che lo caratterizza, miste alla voglia di vivere intensamente ogni attimo della vita. Mentre il principe porta la principessa sul suo cavallo bianco, le fa sognare in luna di miele, le dà un castello, una vita agiata, tutto il suo amore.. insomma, la perfezione! Ma da quando in qua le donne cercano la perfezione??"
Bella domanda. Ma io ho una visione tutta mia, in proposito. Una visione che chiamerei “il teorema della perfetta imperfezione”. Credo che si, forse le donne (ma varrebbe pure per gli uomini) non ricerchino la perfezione, in quanto essa non può esistere. Ma che quantomeno siano portate a rivolgersi ad un’approssimazione della stessa. All’imperfezione che per loro ha più il retrogusto di perfezione. L’esatto insieme di difetti che più si adatti a lei. Una sorta di "imperfezione perfetta", appunto. Dopotutto, come ho ricordato altrove, sarebbe alquanto triste se davvero si finisse per scegliere un “principe di comodo" restando perdutamente con la mente al “pirata”. O la prima principessa su cui è inciampato il nostro destino (o il nostro destriero), per la pigrizia di non dover sopportare una ricerca più estenuante e meticolosa. Se così fosse, non avrebbe senso la parola “amore”. Se così fosse, ogni storia sarebbe una scelta di “second best”, un accontentarsi eterno di qualcosa perché non si può avere di più. Un compromesso.
E no, non posso accettarlo: se proprio devo credere nell’amore, che quantomeno abbia tutti i connotati romantici al posto giusto…

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